
17 Mar Il requisito della bella presenza. Lecito in materia di assunzione di lavoratore?
Bisogna innanzitutto comprendere cosa si intende per bella presenza. Il più delle volte non vi è la pretesa di un fisico da modella/modello.
Ciò che viene richiesto è soprattutto la cura della propria persona; ad esempio, un taglio e un colore di capelli troppo estrosi non si prestano a chi deve rivestire il ruolo dell’impiegato di banca, così come un abbigliamento trasandato e sporco non è consono a chi, ad esempio, vuole fare l’assistente alla poltrona di un dentista.
In certi ambienti e contesti lavorativi è richiesta quindi una sorta di “divisa“, intendendosi con questo termine anche un atteggiamento e un comportamento, che deve essere improntato alla gentilezza, cortesia, educazione e disponibilità.
Ciò precisato, cosa dice la legge? E’ previsto un divieto espresso per il reclutatore di chiedere la “bella presenza” a chi si candida a una certa posizione lavorativa?
Esistono diverse disposizioni di legge che vietano in generale al reclutatore e al datore di lavoro di tenere, anche in fase di selezione, una condotta discriminatoria nei confronti dei candidati.
La prima norma di riferimento è l’art 10 del D.lgs. n. 276/2003, “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30“.
Detto articolo, al comma 1 prevede infatti che “E’ fatto divieto alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all’orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, alla eta’, all’handicap, alla razza, all’origine etnica, al colore, alla ascendenza, all’origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute nonché a eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, a meno che non si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa. È altresì fatto divieto di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo.”
Applicando una interpretazione estensiva sulla norma ricomprendendo anche la discriminazione per l’aspetto fisico, la richiesta della bella presenza sarebbe quindi lecita solo se tale caratteristica è in grado di riflettersi sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o se costituisce un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento di un certo lavoro.
Poiché in genere, il requisito della “bella presenza” è richiesto soprattutto alle candidate donne, cosa dice il Codice della pari opportunità, di cui al decreto legislativo n. 198/2006?
La norma d’interesse in questo caso è l’art. 27 “Divieti di discriminazione nell’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e nelle condizioni di lavoro” che al comma 1 dispone che “È vietata qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale (…).”
Interessante però è anche il comma 6 di detta norma, il quale dispone che “Non costituisce discriminazione condizionare all’appartenenza a un determinato sesso l’assunzione in attività della moda, dell’arte e dello spettacolo, quando ciò sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione.”
Dall’analisi delle due disposizioni emerge che non esiste un divieto espresso per il reclutatore d’indicare il requisito della bella presenza, soprattutto se, come precisato all’inizio, con lo stesso si intende fare riferimento alla cura della persona dal punto di vista dell’igiene, dell’abbigliamento e dell’acconciatura, che devono essere consoni all’ambiente di lavoro.
La “bella presenza” diventa discriminatoria quando la bellezza estetica è finalizzata al desiderio del datore di circondarsi di persone di aspetto gradevole, anche se tale requisito prescinde del tutto dalle mansioni a cui sono addetti. In questi casi il requisito della “bella presenza” in senso stretto, come aspetto fisico gradevole, prescinde dalle mansioni che devono essere eseguite, per cui, se posto come requisito fondamentale per l’assunzione, possono ricorrere gli estremi della discriminazione.
Articolo a cura di Francesca Oliosi, Avvocato Civilista
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