Legittimo il licenziamento in caso di rendimento insufficiente

Legittimo il licenziamento in caso di rendimento insufficiente

È legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia provata, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, un’evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento.

Così la Cassazione con l’ordinanza 6 aprile 2023, n. 9453 ha confermato la sentenza di secondo grado emessa dalla Corte di Appello di Venezia.

La storia giudiziaria ha origine dinnanzi il Tribunale di Treviso, il quale ha ritenuto di riqualificare un licenziamento di un lavoratore da giusta causa a licenziamento per giustificato motivo soggettivo con condanna del T. alla restituzione delle somme corrisposte in esecuzione dell’ordinanza suddetta, detratto tuttavia l’importo dovuto per indennità di mancato preavviso.

La sentenza emessa in sede d’opposizione concludeva per la sussistenza dell’addebito di scarso rendimento e per la sua idoneità a giustificare da solo il recesso per scarso rendimento.

Avverso tale ordinanza, proponevano appello sia il lavoratore ricorrente che la Banca resistente, e la Corte d’appello di Venezia rigettava sia il reclamo principale proposto dal T. contro tale sentenza sia il reclamo incidentale proposto dalla Banca, confermando la sentenza di primo grado.

La Corte territoriale, nel respingere le contrapposte impugnazioni confermava l’esclusione della ritorsività del recesso datoriale, e giungeva alla conclusione che, pur essendo l’inadempimento del lavoratore limitato nel tempo, l’intensità dello stesso era stata in detto periodo notevole, e che tale inadempimento, unito alla mancanza di elementi obiettivi che giustificassero la riduzione dell’attività, comportava che la valutazione operata nella sentenza reclamata fosse condivisibile.

Avverso tale decisione il lavoratore licenziato ha proposto ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha osservato che la Corte territoriale ha correttamente posto in comparazione i dati relativi all’attività del lavoratore e quelli relativi all’analoga attività di suoi colleghi in simile posizione nel settore sviluppo, ed ha apprezzato l’inadempimento addebitato in uno “alla mancanza di elementi obiettivi che giustifichino la riduzione dell’attività“.

Una volta escluse, perciò, le situazioni allegate dal lavoratore (sua condizione di emarginazione e disponibilità di dotazioni e tecnologie insufficienti o diverse da quelle dei colleghi impiegati come lui nel settore sviluppo), che avrebbero potuto quantomeno in parte giustificarlo, correttamente è stato ritenuto dimostrato che il suo scarso rendimento fosse a lui imputabile a titolo quanto meno di colpa.

Infine, circa lo specifico profilo dell’accertamento della gravità dell’inadempimento, la Suprema Corte, richiamando la propria giurisprudenza, ha osservato che il licenziamento per cosiddetto scarso rendimento costituisce un’ipotesi di recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento di cui agli artt. 1453 e segg. c.c., sicché, fermo restando che il mancato raggiungimento di un risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, ove siano individuabili dei parametri per accertare se la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, lo scostamento da essi può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione, sulla scorta di una valutazione complessiva dell’attività resa per un apprezzabile periodo di tempo.

Pertanto è stato ritenuto legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia provata, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento.

Articolo a cura di Francesca Oliosi, Avvocato Civilista

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