
20 Feb Licenziamento discriminatorio
Per la Suprema Corte, integra gli estremi del licenziamento discriminatorio, nonché ritorsivo, quello del dipendente sindacalista fatto pedinare da un investigatore diversamente dagli altri colleghi.
La vicenda nasce dalla decisione di un datore di lavoro di far porre sotto sorveglianza da un’agenzia investigativa un lavoratore, sindacalista interno all’azienda, e non anche i suoi colleghi, a cui potevano essere attribuite le medesime anomalie nell’esecuzione delle mansioni assegnate.
Alla luce della verifica che anche agli altri lavoratori erano state contestati degli orari non congrui, ma gli stessi non erano stati “seguiti”dagli investigatori, il lavoratore ha dedotto il fattore di rischio -vale a dire l’essere sindacalista e la sua attività non gradita all’azienda- che ha prodotto una discriminazione nel trattamento con altri colleghi che si trovavano nelle stesse condizioni.
La Corte di Appello di Firenze – conformemente a quanto precedentemente statuito dal Tribunale della stessa città – ha confermato la nullità del licenziamento di questo dipendente, ed ordinato la sua reintegra con conseguente pagamento di tutte le mensilità ed oneri accessori dalla data di interruzione del rapporto di lavoro.
I Supremi Giudici, con ordinanza numero 2606 depositata il 27 gennaio 2023, hanno confermato la nullità del licenziamento in quanto discriminatorio.
Infatti, secondo i Giudici, il dipendente ha dimostrato il trattamento sfavorevole a lui riservato dall’azienda rispetto ai suoi colleghi non sindacalisti, che si è tradotto in una attività investigativa esclusivamente dedicata a lui e non anche ad altri lavoranti.
È emerso, pertanto, un evidente collegamento tra l’essere sindacalista ed il licenziamento, ritenuto ritorsivo e persecutorio, e, quindi, illegittimo con violazione di quanto statuito dall’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori.
Articolo a cura di Francesca Oliosi, Avvocato Civilista esperta in diritto del lavoro
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